Sardegna Insieme
Sardegna - Nuraghi la storia
Si calcola che siano stati realizzati non meno di 10 000 nuraghi, attualmente in stato di conservazione più o meno buono ne rimangono in piedi circa settemila/ottomila e distribuiti in tutta la Sardegna con una densità media di 0,27 per km², mediamente uno ogni 3 km², contraddistinguendo fortemente il paesaggio Sardo. Si ipotizza che in passato il loro numero fosse molto più maggiore. Infatti sono numerosi gli esempi attestati, e ancor più quelli ipotizzati in base ai reperti rinvenuti in svariati centri dell’isola, di edifici civili (ad es., nuraghe Gianbasile a Sindia), signorili (Palazzo Zapata a Barumini) e ancor più frequentemente religiosi (nuraghe Lo' sotto la chiesa di Sant'Eligio a Bosa, Santa Maria Maddalena a Guamaggiore, San Nicola a Orroli, Santa Vittoria a Nuraxinieddu (Oristano), San Simone a Escolca, etc., solo per citarne alcune.
Costruiti non solo spogliando la struttura ma molto spesso direttamente sulle fondamenta di preesistenti nuraghi. Per quanto riguarda la loro funzione, gli studiosi ancora non hanno espresso un parere comune, mentre la maggior parte di loro pensa che furono costruiti nel secondo millennio a.C., a partire dal 1100 a.C. fino al 1800 a.C.
Alcuni nuraghi, sono più complessi e articolati è sono veri e propri castelli nuragici con la torre più alta che in alcuni casi raggiungeva un'altezza tra i venticinque e i trenta metri. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si tratta di torri ristrette verso l'alto, un tempo alte dai 10 ai 20 metri, con diametro alla base tra gli 8 e i 10 metri. In alcune zone della Sardegna sono posizionati a poche centinaia di metri gli uni dagli altri, come nella Valle dei Nuraghi nelle zone storiche del Logudoro - Meilogu, oppure nelle zone della Trexenta e della Marmilla. I primi nuraghi, detti protonuraghi, furono edificati in un'epoca situata quasi certamente nella parte iniziale del secondo millennio a.C. Di alcuni è stata effettuata una datazione che ha restituito dei risultati alquanto verosimili, indicanti un periodo iniziale di costruzione intorno al 1800 a.C. per esempio Duos Nuraghes di Borore, secondo l'archeologo Giovanni Lilliu, durante la media dell’età del bronzo, attorno al 1500–1100 a.C., si ebbe presumibilmente il maggior sviluppo di questi edifici nuragici.
Nell'età del ferro, ossia dal 900 a.C. in poi, non furono costruiti nuovi nuraghi, tuttavia non furono abbandonati ma anzi in alcuni casi vennero ristrutturati e riadattati, forse come luoghi di culto.
Le costruzioni nuragiche hanno subito i danni maggiori negli ultimi 150 anni, soprattutto dopo l'emanazione dell'editto delle chiudende quando divennero materiale da costruzione per i muretti a secco che ancora oggi caratterizzano il paesaggio Sardo, e con l'ampliamento della rete viaria e l'impiego delle pietre nelle massicciate stradali.
Origine del nome:
La radice Nur della parola nuraghe è di origine prelatina e dovrebbe significare "mucchio di pietre ,mucchio di cavo. Secondo quanto riferisce lo studioso Giovanni Lilliu.
Preindoeuropeo, o di sostrato mediterraneo, è anche il nome del monumento: nuraghe, detto pure a seconda dei distretti e dialetti della Sardegna, nuràke, nuràxi, nuràcci, nuràgi,nuràcu etc. Questo termine, specie nel secolo XIX, fu messo in relazione con la radice fenicia di Nur, che vuol dire fuoco, e fu spiegato come fuoco nel senso di dimora o di tempio del fuoco, con riferimento a culti solari che si sarebbero praticati sulla terrazza delle torri nuragiche. Oggi, invece, i filologi propendono a considerare il vocabolo nuraghe come un reliquato della parlata primitiva paleomediterranea, da ricollegarsi col radicale Nur e con le varianti nor, nul, nol, mar etc., radicale largamente diffuso nei paesi del Mediterraneo, dall'Anatolia all'Africa, alle Baleari, alla Penisola iberica, alla Francia, col duplice significato, opposto ma unitario, di mucchio e di cavità. Il vocabolo stesso poi indicherebbe non la destinazione ma la speciale forma costruttiva del nuraghe, il quale vorrebbe dire appunto mucchio cavo, costruzione cava, torre cava, a causa della figura turrita del suo esterno, fatta per accumulo di grossi massi, e per la cavità cupoliforme dell'interno (Giovanni Lilliu, I Nuraghi. Torri preistoriche della Sardegna, ILisso, 2005, pag. 57.)
Secondo l'archeologo Giovanni Ugas dell'Università di Cagliari, la parola nuraghe potrebbe derivare invece da Norax o Norace, eroe degli Iberi-Balari. È possibile infatti che la radice Nur sia un adattamento ai timbri mediterranei della radice indoeuropea Nor che si ritrova in alcuni toponimi della Sardegna (es. Nora, Noragugume), nel Lazio con Norba città dei Volsci o Noreia antica città del Norico.
IL linguista Massimo Pittau ritiene che la parola nuraghes , nelle sue varie forme, è sicuramente da riportare al sostrato linguistico pre-punico, pre-romano e quindi protosardo o nuragico.
Cronologia:
In base a una classificazione e alla divisione temporale elaborata dallo studioso Giovanni Lilliu (Nuragico fase I, II, III, IV, V) l'edificazione dei nuraghi e lo svilupparsi della civiltà nuragica ha seguito diverse fasi collocabili entro l'età del bronzo e l'età del ferro. Lo stesso studioso però sconsiglia di adattare schematicamente la sua classificazione alle suddivisioni cronologiche di queste età adoperate per l'Europa continentale, la penisola italiana e l'Egeo, anche se non mancano parallelismi tra cultura nuragica con elementi delle regioni europee ed egeiche.
Fasi civiltà nuragica :
Prima fase, denominata Nuragico I, vede il formarsi dei caratteri principali di questa civiltà.
Rispetto ai fenomeni megalitici precedenti (menhir, dolmen, altare preistorico di Monte d'Accoddi, fortificazioni di Monte Baranta) cominciarono a essere adottate tecniche e schemi costruttivi più specifici e tra la fine del Bronzo antico e gli inizi del Bronzo medio (XVIII-XV secolo a.C.) si ha l'edificazione dei primi protonuraghi , denominati anche pseudonuraghi o nuraghi a corridoio.
Si evidenzia nell'architettura funeraria la costruzione delle tombe dei giganti con stele centinata, gli ipogei con prospetto architettonico e le tombe di tipo misto.
La cultura materiale utilizza ceramiche tipo Bonnanaro. Costruzioni tipiche di questo periodo sono quelle di Sa Korona di Villagreca e Bruncu Madugui di Gesturi.
Seconda fase, denominata Nuragico II, viene situata nella media età del Bronzo, intorno al XVII-XIV secolo a.C.; fa la sua comparsa il nuraghe a thòlos, caratterizzato dal modulo ripetitivo della torre tronco-conica, all'interno ospita una o più camere sovrapposte, coperte a falsa volta, con la tecnica cosiddetta "ad aggetto". Rispetto alla prima fase si nota una brusca svolta costruttiva nella civiltà nuragica. Un'ipotesi molto accreditata è quella che collega queste innovazioni a influssi esterni minoico-micenei, che hanno portato il thòlos in tutta la Grecia e in Sicilia, seppur con funzioni sepolcrali che al nuraghe difficilmente possono essere riconosciute.
Nella seconda fase si ha la costruzione della maggior parte dei nuraghi, e probabilmente della loro quasi totalità. Le tombe dei giganti presentano una facciata con i caratteristici filari di pietre infisse a coltello, si scolpiscono betili aniconici e poi con segni schematici. Si notano nelle ceramiche le decorazioni a pettine, con nervature o con decorazioni metopale. Le armi sono di importazione orientale.
Nella terza, denominata Nuragico III, è la fase situata nel periodo del Bronzo recente e finale, fra il XII e il IX secolo a.C.
Al singolo nuraghe già esistente, si addossano altre torri e corpi di fabbrica, raccordate da cortine murarie per formare un vero e proprio bastione turrito, fino a realizzare delle strutture di notevole articolazione e imponenza, con i bastioni provvisti di torri angolari, spesso in numero di tre, come il nuraghe Santu Antine a Torralba o il nuraghe Losa ad Abbasanta, ma anche di quattro torri, come Su Nuraxi a Barumini e il nuraghe Santa Barbara a Macomer, o cinque, come il nuraghe Arrubiu a Orroli, o addirittura dieci, perfettamente simmetriche, come nel nuraghe S'Urachi a San Vero Milis.
Nelle tombe dei giganti si notano fregi a dentelli, compaiono tempietti a cella rettangolare, tempietti a megaron, templi a pozzo. Compaiono inoltre i betili antropomorfi, le ceramiche micenee, i lingotti di rame a pelle di bue, le armi di tipo egeo.
Quarta fase, denominata Nuragico IV, ormai nell’età del ferro, copre un arco temporale che va dal IX secolo a.C. al V secolo a.C., i nuraghi complessi si evolvono ulteriormente a i villaggi aumentano di dimensioni. Nell’architettura funeraria si notano tombe individuale a fossa e a pozzetto.
Si osservano i villaggi santuario, le grotte sacre e i templi a pozzo di tipo isodomo. La cultura materiale utilizza ceramiche geometriche, ambre e bronzi di importazione tirrenica, importazioni fenicio-punica.
Si registra la comparsa della statuaria in pietra a tutto tondo, dei bronzi figurati e delle navicelle in bronzo.
Quinta fase, denominata Nuragico V, va dal V secolo all’invasione romana e vede la nascita della resistenza sarda alla penetrazione cartaginese, e poi le battaglie e le attività di guerriglia contro i romani.
Descrizione generale, Vista la varietà delle costruzioni che tradizionalmente sono raggruppate sotto la dicitura di "nuraghe" è difficile fornire una descrizione univoca. La divisione più semplice è quella tra il protonuraghe, o nuraghe "a corridoio", con una distribuzione degli spazi prevalentemente orizzontale e il nuraghe a thòlos. La maggioranza dei nuraghi è di quest'ultimo tipo, costituito da singole costruzioni megalitiche a tronco di cono con uno o più ambienti interni, anche sovrapposti e coperti a thòlos. Al loro interno, oltre alle camere circolari si aprono spesso altri ambienti minori quali nicchie, magazzini, sili.
Attorno alla torre singola si svilupparono talvolta architetture più complesse come bastioni con torri aggiuntive e cinte murarie.
Le mura che lo compongono sono poderose e possono arrivare a uno spessore di quattro o cinque metri, con un diametro esterno fino a trenta - cinquanta metri alla base, diminuendo poi con l'aumentare dell'altezza, con inclinazione più accentuata nelle torri più antiche. L'altezza supera non di rado i venti metri.
La particolare forma è dovuta alla singolare tecnica di costruzione che prevede solide fondazioni con grossi blocchi di pietra squadrati e sovrapposti a secco, in maniera circolare, senza utilizzo di leganti e tenuti insieme dal loro stesso peso. Man mano che si procede in altezza, i filari disposti in opera isodoma si restringono progressivamente e diminuisce anche la proporzione dei massi, ora sempre più piccoli e meglio lavorati.
Feritoie e finestra del nuraghe Su Mulinu, Villanovafranca, la parte superiore era occupata da una terrazza alla quale si accedeva tramite una scala elicoidale, illuminata nel percorso ascendente da feritoie ricavate nelle spesse mura. La porta di ingresso si apre preferenzialmente a mezzogiorno e immette in un corridoio ai cui lati si aprono sovente delle nicchie e che conduce a una camera rotonda, la cui volta è formata da anelli di pietre che si restringono progressivamente, andando a chiudersi secondo la tecnica della volta a thòlos, sempre senza l'utilizzo di leganti, né centine di supporto durante l'edificazione.
Furono costruiti prevalentemente in posizione dominante, su un cocuzzolo, ai bordi di un altopiano o all'imboccatura di una valle o in prossimità di approdi lungo le coste, ma frequentemente sorgono anche nel mezzo di pianure.
Tipologia:
Il problema di una costituzione di una tipologia del nuraghe è stato affrontato in tempi recenti da vari studiosi anche se non vi sono ancora soluzioni univoche.
La categorizzazione dei diversi tipi è generalmente morfologica o temporale, e in alcuni casi qualcuno cerca di far corrispondere le due cose. La divisione più generica è, come già si è accennato, quella tra nuraghe a torre e nuraghe a corridoio. Qualcuno aggiunge a questi due altri tipi, qualcun altro invece preferisce considerarle delle sottocategorie. A ogni modo, i tipi più importanti possono essere considerate questi. Nuraghi a corridoio, Chiamati anche "pseudo-nuraghi" o "protonuraghi", i nuraghi a corridoio sono il tipo più antico, e differiscono in maniera significativa dai nuraghi classici per l'aspetto più tozzo e la planimetria generalmente irregolare e perché al loro interno non ospitano la grande camera circolare tipica del nuraghe, ma uno o più corridoi, o comunque ambienti minori.
L'altezza di norma non superava i 10 metri benché la superficie occupata da queste costruzioni era in media notevolmente maggiore rispetto a quelli a torre.
L'ambiente più funzionale e forse più importante di questi edifici era il terrazzo che probabilmente ospitava delle coperture lignee che fungevano da ambienti abitativi.
Poco conosciuti fino a qualche decennio fa sono al centro di studi e dispute fra gli studiosi che hanno iniziato a considerarli fondamentali per la comprensione del "fenomeno nuragico". Sulla denominazione stessa non c'è ancora unanimità, il termine "nuraghe a corridoio" è contestato da Giovanni Ugas che preferirebbe l'utilizzo del solo termine "protonuraghe", con connotazione temporale, in base alla precedente costruzione di questo tipo di nuraghe, che comunque rappresenta una regola con molte eccezioni.
Mauro Peppino Zedda predilige invece una semantica morfologica sostituendo entrambi i termini con "nuraghe a bastione" suddividendo ulteriormente la categoria in tre classi inferiori: "a corridoi architravati", "a corridoi aggettanti", "a camere". Gli studi di Zedda, però, non sono avallati da nessun comitato scientifico, ma dei circa 7 000 nuraghi censiti solo 300 circa sono di questo tipo.
Nuraghi monotorre a thòlos, è il nuraghe per antonomasia e rappresenta la quasi totalità dei nuraghi della Sardegna.
La torre, di forma tronco-conica, ospita al proprio interno una o più camere sovrapposte, coperte appunto da una falsa volta, o più spesso con la tecnica ad "aggetto" del thòlos, cioè sovrapponendo giri di pietre via via più stretti fino a chiudere la volta. In genere venivano innalzati due circoli murari concentrici, e l'interstizio che ne risultava veniva riempito di pietrame.
L'accesso, architravato, è generalmente sullo stesso piano di calpestio del suolo e immette in un andito che immette frontalmente nella camera centrale e lateralmente (generalmente a sinistra) nella scala elicoidale ricavata all'interno della massa muraria che conduce al terrazzo o alla camera superiore.
Oltre all'andito, alla camera centrale e a quelle superiori sono spesso presenti altri ambienti minori come nicchie e cellette ricavate nello spessore murario ma anche pozzi o sili scavati nel pavimento.
Nuraghi a tancato, Costituiscono l'evoluzione dei nuraghi monotorre: alla torre principale veniva aggiunto in un secondo tempo un altro edificio circolare, raccordato alla torre originaria tramite due cortine murarie racchiudenti al loro interno un cortile, talvolta fornito di un pozzo.
Un esempio di nuraghe appartenente a questo tipo è il nuraghe santa Barbara a Villanova Truschedu, in questo nuraghe l'ingresso al complesso avveniva tramite un corridoio ai cui margini si trovano due nicchie contrapposte. In momenti successivi venivano aggiunte altre torri e altre cortine murarie fino a farne dei complessi polilobati.
Nuraghi polilobati, chiamati anche regge nuragiche, i nuraghi polilobati sono quelli meno frequenti. Molto elaborati e spesso concepiti in modo unitario, costituivano vere e proprie fortezze con varie torri unite tra loro da alti bastioni la cui funzione era quella di proteggere il mastio centrale.
Secondo la teoria militare, dalla torre arroccata su una cima isolata, semplice vedetta situata al confine del territorio di pertinenza della singola tribù, o a presidio dei punti strategici più rilevanti come le vie d'accesso alle vallate, i sentieri che salivano agli altopiani, i corsi d'acqua, i guadi, le fonti, ecc., si giunse successivamente alle complesse costruzioni, comprendenti fino a ventuno torri e dalle mura spesse alcuni metri, ubicate al centro dell'area di comune interesse, forse utilizzata come residenza fortificata dell'autorità politica, civile, militare e probabilmente anche religiosa della regione.
Questi "castelli" megalitici costituivano delle vere e proprie regge, ed erano circondati da altre cinte murarie più esterne, talora fornite anch'esse di torri (i cosiddetti antemurali), che circondavano i bastioni a costituire una vera e propria ulteriore linea avanzata di difesa.
Dopo le piramidi egizie sono considerati come le più alte costruzioni megalitiche mai costruite durante l'età del bronzo nel Mediterraneo protostorico. La torre centrale del nuraghe Arrubiu a Orroli, uno dei più grandi dell'isola, secondo i calcoli eseguiti dai ricercatori raggiungeva un'altezza compresa tra i venticinque e i trenta metri, e la sua planimetria comprendeva altre diciannove torri (probabilmente ventuno) articolate intorno a diversi cortili, occupando per intero un'area di tremila metri quadrati, escluso il villaggio che si estendeva al di fuori delle cinte murarie. Era il risultato di un disegno unitario che comprendeva sia il mastio sia i bastioni pentagonali, il tutto costruito nella medesima fase nel XIV secolo a.C.
Villaggi nuragici:
Alcuni nuraghi sorgono isolati, altri sono invece circondati o collegati tra di loro da un sistema di muri di cinta che racchiudono i resti di capanne, tanto da assumere l'aspetto di un villaggio. Infatti le popolazioni nuragiche spesso risiedevano in questi villaggi addossati alle torri principali e ai bastioni. Questi insediamenti erano costituiti da un insieme di capanne più o meno semplici, la vita quotidiana si svolgeva dunque all'interno di queste modeste dimore di pietra, con il tetto in genere realizzato con tronchi e rami, spesso intonacate all'interno con del fango o argilla, e talora isolate con sughero. Non tutti i villaggi sono nuragici. Il villaggio di Su Nuraxi di Barumini, ad esempio, è successivo al nuraghe e costruito anzi con pezzi che inizialmente erano elementi costitutivi del nuraghe.
Nell'ultima fase della civiltà nuragica si sviluppa un tipo di capanna più evoluta, indicativo di una maggiore articolazione delle attività: si tratta della capanna a settori, che talora assume anche le dimensioni di un vero e proprio isolato, cioè divisa in piccoli ambienti affacciati su un cortiletto e dotata spesso anche di un forno per la panificazione.
Fra gli edifici pubblici che caratterizzavano i villaggi, si segnalano soprattutto le cosiddette capanne delle riunioni, provviste di un sedile in pietra alla base e destinate presumibilmente alle assemblee dei notabili del villaggio.
Dimensioni:
Le dimensioni dei nuraghi variano soprattutto in base al loro tipo: i nuraghi a corridoio hanno una superficie molto variabile mentre la maggior parte delle torri a thòlos rientra in una fascia dimensionale più stretta. I protonuraghi passano quindi dai quasi 1700 m² del nuraghe Biriola di Dualchi ai 51 del Carrarzu Iddia di Bortigali, secondo dato medio ricavato da sessantasei costruzioni del Marghine e della Planargia (nell'intera Sardegna i protonuraghi censiti finora sono circa trecento) si assesta sui 234 m², mentre la fascia più rappresentata è quella tra i 101 e i 200 m² 45% dei Rilevamenti:
I nuraghi a torre hanno invece superfici comprese tra i 635 m² del nuraghe Tolinu di Noragugume e i trentadue di Sa Rocca Pischinale a Bosa, la fascia più ricorrente è anche in questo caso quella che oscilla tra i 101 e i 200 m² che rappresenta in questo caso ben il 75% dei 231 nuraghi dello studio eseguito.
IL diametro dei nuraghi a torre varia dai dieci ai quindici metri (media di 12,30 nel Marghine - Planargia e l'altezza dai dieci ai ventidue metri). La torre nuragica più alta, quella del nuraghe Arrubiu, superava in origine i ventisette metri. L'inclinazione della muratura varia tra i 10° e i 16° con una tendenza evolutiva, seppur non strettamente progressiva, tra i nuraghi più antichi (come Domu 'e s'Orku di Sarroch) e quelli più recenti (nuraghe Altoriu) a costruire con pendenze sempre meno accentuate.
Ipotesi sulle loro funzioni:
La reale funzione delle costruzioni nuragiche è da secoli al centro di dispute tra storici e archeologi. Il primo a porsi il problema fu Giovanni Francesco Fara nel XVI secolo, il quale riteneva fossero semplici torri oppure tombe monumentali.
Nel corso dei secoli sono stati considerati alternativamente come case, ovili, luoghi sacri, tombe o osservatori astronomici.
Ipotesi militare, all'inizio del XX secolo inizia a ritagliarsi un'importanza sempre maggiore l'ipotesi della funzione militare, che rimarrà di fatto quella più accreditata fino alla seconda metà del Novecento, appoggiata soprattutto da studiosi come Antonio Taramelli, Filippo Nissardi e Giovanni Lilliu. Le principali osservazioni a favore di un utilizzo difensivo del nuraghe sono relative alla struttura architettonica stessa di quest'ultimo. Giovanni Lilliu sostiene, per esempio, che lo spessore ragguardevole delle mura dovesse reggere all'urto dei "krioforoi", gli arieti di sfondamento usati dai Cartaginesi nelle battaglie contro i Sardi. Anche l'altezza era tale da poter usare i nuraghi come efficaci torri di avvistamento e addirittura, dislocandoli strategicamente, avere sempre il contatto visivo tra l'uno e l'altro o usarli per definire un confine. Lilliu pone inoltre l'attenzione su altri espedienti singolari di grande efficacia difensiva e offensiva che rivelano il carattere fortilizio del nuraghe, tra cui feritoie, angoli morti, piombatoi, scale retrattili, garette di guardia e botole.
Anche l'archeologo Ercole Contu sostiene che le torri isolate sarebbero state degli avamposti o vedette mentre i complessi più articolati delle fortezze.
Negli anni settanta gli articoli di Carlo Maxia e Lello Fadda sulla rivista frontiera (1973) e il libro la Sardegna nuragica di Massimo Pittau (1977) rappresentano i primi tentativi di dimostrare l'infondatezza della tesi del sistema organizzato di fortini, che Lilliu stesso rivaluterà pesantemente.
Lo stesso Pittau, il maggior sostenitore della tesi esclusivamente religiosa dei nuraghi ammette tuttavia che in qualche particolare circostanza di guerra i Nuragici si siano rifugiati in qualcuno dei nuraghi complessi e vi abbiano tentato un'estrema difesa facendo riferimento ai nuraghi di Cabu Abbas di Olbia e a Su Nuraxi.
Per l'archeologo Giovanni Ugas sia i nuraghi classici sia i protonuraghi svolgevano principalmente due funzioni: le strutture più complesse, ad esempio i nuraghi polilobati, avevano una funzione residenziale per "re" o "capi tribù", le strutture più semplici, come nel caso dei nuraghi semplici monotorre, avevano invece una funzione d'avvistamento e di controllo del territorio e delle risorse.
È stato riscontrato che i nuraghi monotorre erano dislocati perlopiù nei territori poco popolati mentre quelli più popolosi erano contraddistinti da architetture più complesse.
Ipotesi religiosa, l'alternativa classica a quella militare è l'ipotesi di una funzione votiva e religiosa del nuraghe che propone come indizi principali le sepolture rinvenute in alcuni nuraghi, specialmente nei protonuraghi delle quali vi sono in passato molte segnalazioni in letteratura (Gaio Giulio Solino, Simplicio, Alberto La Marmora, Giovanni Spano) e che si ipotizza potessero essere imbalsamati, esposti e venerati come eroi.
A riprova dell'utilizzo sepolcrale ci sarebbero le conferme di carattere linguistico nei nomi di tantissimi nuraghi. Oltre ai tanti nomi generici come "Sa Tumba" di Olbia, "Tumboni" di Girasole, "Su Tumbone", Florinas, "Su Masuleu", San Nicolò Gerrei, "Losa" di Abbasanta legati al culto dei morti sono "de su Perdonu" a Nulvi, "Purgatoriu", Dorgali, "de is Animas", Santadi, "S'Inferru, Sassari" che sarebbero da collegare alla successiva cristianizzazione della Sardegna e che, secondo questa tesi, avrebbe continuato a riconoscere nei nuraghi il loro significato votivo.
Tuttavia queste denominazioni spesso risultano abbastanza recenti. Il riferimento ai morti, per esempio, è dovuto spesso al loro utilizzo come ossario o luogo di sepoltura collettiva durante le numerose pestilenze che afflissero la Sardegna nei secoli e che li portarono a essere, per il volgo, luogo legato alla morte, all'espiazione, alla presenza di anime di defunti con varie caratterizzazioni folkloristiche colte non solo cristiane. Infatti, ancora più importante è il termine "Domo 'e s'Orcu" (casa dell'Orco), che, pur con le varie inflessioni subregionali denomina circa una quarantina di nuraghi e che richiamerebbe Plutone, divinità latina dei morti.
Ipotesi astronomica, un'altra tesi presa in considerazione dei ricercatori è quella che vede nei nuraghi una funzione prevalentemente astronomica descrivendoli come dei veri e propri osservatori fissi della volta celeste, disposti sul territorio secondo precisi allineamenti con gli astri, e abitati da sacerdoti astronomi. Secondo lo studioso Mauro Peppino Zedda i nuraghi furono edificati come osservatori astronomici e le torri sarebbero state disposte secondo precise regole astronomiche e sarebbero state utilizzate per la misura del tempo e per l'osservazione della volta celeste avvalorando l'ipotesi della funzione sacra di questi edifici, i quali sarebbero visti come templi custoditi da sacerdoti astronomi.
Lo studioso sostiene che le torri del nuraghe trilobato Santu Antine siano state dei punti di osservazione per mezzo dei quali era possibile osservare il sorgere del sole sia al solstizio invernale sia al solstizio estivo, e dalle stesse si poteva osservare, sempre ai solstizi, il tramonto del sole. Secondo lo studioso il nuraghe Santu Antine è l’apparecchio realizzato a secco tecnicamente più sofisticato di tutta la superficie terrestre. Grazie alla loro posizione, sostiene lo studioso, gli antichi sardi erano in grado di stabilire la scansione temporale delle stagioni e avevano riferimenti spaziali sulla terra.
Per concludere:
Tanti pareri dividono gli studi degli archeologi impegnati , da tempo, alla ricerca della vera storia dei nuraghi in Sardegna. Per questa ragione potrebbe essere per la scarsa esistenza di documentazione lasciata dalla civiltà nuragica.
Ricerche, scritto e pubblicato da G.M.